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In tour tra le vigne delle Terre di Cosenza: altre 5 cantine dove degustare

Seconda puntata dell’itinerario tra le etichette della doc calabrese: aziende secolari a gestione familiare, giovani imprenditori e strutture storiche in continua evoluzione

Forse non tutti sanno che quando si parla di vino nel territorio cosentino si deve tenere presente che siamo nel cuore del cosiddetto Triangolo di Van Der Mersch, dal nome di uno studioso che individuò nella Campania meridionale (Cilento), nella Lucania (Policoro) e nel Bruzio (Lamezia) le grandi aree di produzione di un tipo di anfore riconducibile a una comune produzione vitivinicola. Semplificando: dalla produzione delle anfore si individua il triangolo della produzione storica di vino.

Nella prima puntata dell’itinerario avevamo sfiorato la valle del Savuto, ora risaliamo verso nord lungo il Crati e l’Esaro, tra le vigne sovrastate dalla catena del Pollino e abbracciate dalle due coste.

6 – Serracavallo (Bisignano)
Quando Demetrio Stancati si affaccia sulle proprie vigne disegna ad ampi gesti sciamanici le ragioni della fortuna delle sue uve, dunque dei suoi vini: le vedrete quasi, le volute di brezza marina che dal Tirreno cosentino scavalcano la catena costiera e atterrano 25 chilometri dopo, in questa ansa fatata che a nord è chiusa dal Pollino e ad est dalla Sila. Ventisette ettari vitati sul granito silano, un sabbione che conferisce mineralità e sapidità; produzione di oltre 137mila bottiglie e la forte escursione termica come altra arma segreta, sperimentata anche con lo Chardonnay a 1275 metri. Tutto inizia 30 anni fa con un Piano di Filiera che unisce 30 piccole aziende, con Serracavallo pilota, e si intitola “Gli itinerari dei vini della Calabria Citra”: in nuce ci sono già i concetti di enoturismo e di Terre di Cosenza con la sua doppia C nel logo. La barricaia è un tempio laico che accoglie le botti in elegante rovere francese ma anche americana, per i prodotti più veloci. Dal nonno di Demetrio, classe 1888, ne sono cambiate di cose e il vino non è più l’alimento da lavoro per i contadini dell’azienda: oggi le bottiglie più richieste sono i rossi Terraccia e Vigna Savuco, invecchiamento rispettivamente di 18 e 30 mesi. Il 4 lustri, che celebra i primi vent’anni di attività, è invece di pronta beva mentre il Besidiae, storico bianco che prende il nome di Bisignano in latino, è oggi un “semi-orange” con 40% di Pecorello e il resto equamente diviso tra riesling renano e chardonnay, fermentato per metà sulle bucce. Stancati racconta le difficoltà iniziali a collocare il neonato prodotto locale tra i ristoratori – mettere in carta un grande rosso settentrionale era meno diseconomico – mentre oggi è ottimista se pensa all’impatto sul «consumatore di prossimità», all’interno di un «sistema» il cui «indotto va oltre la vendita di una bottiglia». Merito anche di una visione che negli anni ha portato l’azienda a strutturarsi con camere e food: «Io e mio marito siamo malati di ristrutturazione», sorride Flaviana Bilotti. L’ultimissimo format sono i pic-nic con tanto di casse e chiavetta con playlist anche in questo caso jazz: l’ideale per sorseggiare un Magliocco, speziato e con sentori di pepe e incenso.
Info: www.viniserracavallo.com

 7 – Le conche (Bisignano)
Altitudine, isolamento e ventilazione sono alcuni dei segreti per combattere la Peronospora, rimedi naturali in questa azienda bio (40 ettari di cui 7 di vigneto, 8 di uliveto e il resto di foresta, con tanto di daini!) dove il suino nero «lavora sia nella concimazione che nell’inerbimento», sorride Vincenzo Sposato. Produzione di 20mila bottiglie di vino ma Le conche nasce per l’olio: carolea e tondina le cultivar regine, alberi oggi robustissimi e utili tra le altre cose a contenere le frane. Su una balconata naturale affacciata sulla valle dei Crati si alternano periodicamente gruppi da una ventina persone, 20 euro con i prodotti tipici del posto e gli insaccati dell’acrese Nicola Romano sul tagliere. Ascoltando jazz.
Info: www.leconche.it

8 – Serragiumenta (Altomonte)
Da vent’anni Paolo Canonaco e la moglie Rita Bilotti gestiscono questa tenuta di 600 ettari, in cui è immerso il castello 500esco dei Sanseverino. Oggi è un resort di lusso ideale per eventi ma con un cuore vitato da cui pulsano 7 vini: 4 rossi, un bianco e due rosati di cui uno in versione bollicine (Magliocco in purezza) che si aggiungono a due grappe di cui una affinata. Oggi la produzione vinicola è piccola ma si lavora a una nuova cantina da cui usciranno oltre 100mila bottiglie in tre anni. Dunque vino ma anche ospitalità, un ristorante (La Voliera), il maneggio e la fattoria didattica. Tutto qui? No, assolutamente: l’azienda – che punta sull’energia pulita e rinnovabile con i suoi impianti di fotovoltaico – produce anche olio extra vergine di oliva biologico: tre cultivar (l’autoctona Tondina, la messinese Nocellara e il Leccino) sui 7mila ulivi secolari coltivati su 55 ettari di terra, con molitura realizzata entro le 12 massimo 24 ore dalla raccolta. Qui si allevano anche ovini e il suino nero – da cui si ricavano formaggi e salumi – oltre alla podolica. Non mancano le uova da galline allevate a terra e le conserve (la linea ha un nome evocativo: la poetica del boccaccio, con la B maiuscola…) dalla classica passata di pomodoro che qui a fine estate è un rituale, alle melanzane, zucchine e zucche sott’olio fino alla giardiniera preparata anch’essa secondo tradizione, per finire con le marmellate e le confetture (imperdibile quella di fichi). Insomma, volendo rubare le parole a Michele Ruperto, sommelier e ceo di Calabriagourmet.com, bisogna passare di qui per «toccare con mano qualcosa che non si può misurare, né raccontare, ma solo vivere, come un sogno ad occhi aperti».
Info: serragiumenta.com

9 – Azienda agricola Terre di Balbia (Altomonte)
Plinio il Vecchio menziona nella sua “Naturalis Historia” un «vinum Balbinum generosum» e non è un caso se una delle nuove denominazioni è proprio Balbina. In meno di dieci anni – prima vendemmia nel 2014/2015 – questa azienda ai piedi del Pollino, nel circuiti della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, si è imposta con la propria filosofia: “Ogni singolo particolare potrebbe essere ininfluente, ma la loro sommatoria fa la differenza”. Undici ettari di cui 8 vitati incastonati tra due uliveti, produzione di 25/30mila bottiglie e tre vini biologici tutti in purezza: un Gaglioppo rosato e due rossi, ovvero un Magliocco dolce – che qui assicura 10mila piante ad ettaro – e Merlot, “lascito” di appena un ettaro della gestione Venica&Venica, che nei primi anni 2000 avevano estirpato i vitigni autoctoni per impiantare anche Sangiovese e Montepulciano. I filari sono arieggiati dalle brezze di mare che soffiano dalla piana dell’antica Sibari. «La produzione biologica dell’uva – spiega Giuseppe Chiappetta, ingegnere e vignaiolo – è garantita da pratiche colturali esclusivamente preventive, tutte le lavorazioni in vigna vengono fatte a mano e con l’aiuto di due piccoli trattorini cingolati». Aspettando la cantina ipogea si può rimanere ammaliati dalla vegetazione lussureggiante sulla terra rossa, partendo magari dal “Sentiero della memoria” che conduce a un frutteto. Visite su prenotazione.
Info: www.terredibalbia.it

10 – La Peschiera (San Lorenzo del Vallo)
Un grande frutteto dove esattamente da dieci anni si affianca la produzione di vino, eppure il nome non deriva dalle pesche bensì dal pesce: il vicino Esaro, infatti, era molto pescoso. Appena entrerete nella grande corte di questo antico edificio capirete da cosa deriva la grafica delle etichette dei 4 vini prodotti dall’azienda a gestione familiare oggi nelle mani dei giovani fratelli Gallo (Alessandro, Daniela e Flaviana): le finestre ad arco gotico sono un marchio di fabbrica dell’antica struttura nata nella seconda metà del ‘700 come concio di liquirizia della famiglia Longo e cresciuto tanto da diventare, un secolo dopo, il cuore di un borgo industriale abitato dalle famiglie degli operai, con tanto di scuole e chiesa. Nel XX secolo l’azienda ha la massima estensione: qualche migliaio di ettari tra colture e allevamenti, alberi da frutto e legna per l’industria navale e persino il baco da seta, un must in quasi ogni casa di campagna del tempo. Con la gestione della famiglia Bombini Gallo si bonificano le aree incolte e si punta sempre più su vigneti, frutteti e uliveti. Poi arriva anche l’ospitalità: le 7 stanze del b&b hanno i nomi delle uve, da qui raggiungerete il Tirreno in 45 minuti e lo Jonio in 20 e potrete ripagare la trasferta con un calice ghiacciato di Jentilino, affinato in acciaio, 60% di Greco bianco e 40% di Mantonico. Degustazioni serali e prima colazione in questa meta amata dai cicloturisti. Info: www.lapeschiera.net

[2. continua]

 

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