È sottile la linea tra bellezza e spontaneità. Quando un vino buono è anche naturale. E per raggiungere questa linea non ci si improvvisa, amore e cultura devono viaggiare insieme, come nei vini prodotti dall’Azienda gestita da Philine Isabelle, piccola produttrice nel cuore delle Langhe.
Cercare un ago in un pagliaio, si dice. Ed è questa la sensazione quando nella terra dei grandi vini rossi del Piemonte spunta una realtà come l’Azienda Agricola Philine Isabelle che, poi, potremmo definirla più punta di un diamante che un ago. Philine è una piccola produttrice nel cuore delle Langhe, tra La Morra e Barolo, che non cerca di sgomitare tra i grandi nomi langhetti né pare in cerca di forme altisonanti di pubblicità. Anzi, bisogna sapere esattamente dove e come andare da Philine Isabelle, quasi come se si stesse seguendo una mappa del tesoro, la cui isola, in questo caso, non è esattamente quella di Stevenson. Qui non ci sono né pirati né navi ammutinate, qui la mappa con la “X”, che indica il punto in cui iniziare a scavare, è “solo” la vigna. E il “solo” è ovviamente un eufemismo visto che si parla delle vigne della Langhe che, per gli amanti del vino, sono al pari, tesori di immaginifica suggestione.
Eppure la ricerca di questa “X” è stata lunga anche per la stessa Philine Isabelle che ha deciso di segnarla solo dopo aver viaggiato per mari e per monti, anzi per vigne e vigneti, in un crescendo di formazione culturale tra Italia, Germania, Austria e di nuovo Italia.
Era, infatti, un ventennio fa quando, decise di lasciare gli studi presso l’Università di Costanza: qualcosa, come Philine stessa racconta, già iniziava a richiamarla alla terra. E il richiamo non era solo quello del vino, quello, in realtà, già le era molto familiare: districandosi fin da piccola tra bottiglie vuote e piene in casa grazie a suo padre, grande appassionato e collezionista di vini. Quel richiamo, invece, era proprio quello della terra.
Così le prime parole iniziano a proferire partendo dalla Germania da Odinstal, piccola azienda vinicola nel cuore di Pfalz, dove i principi biodinamici iniziano a trasporsi non solo nella vigna ma anche nella vita di Pihiline che per circa tre anni vive di quelle terre e vigne, quasi a mo’ di praticantato gratuito, al fine di prendere confidenza con la viticultura.
Nel mentre in tasca guadagna anche una laurea in Viticoltura ed Enologia e da mina vagante e portatrice di valori culturali sani della vite e della vita, approda, poi, in Alto Adige, nella Cantina Pranzegg dove mette in pratica anche tutta l’esperienza acquisita nel mentre da Simonit&Sirch per le potature.
E se Manzoni passava dal Manzanarre al Reno, Philine, dopo l’esperienza in Alto Adige, arriva sulla sua sponda austrica, precisamente al Domaine Heinrich, dove l’immersione nella biodinamica è ormai diventata parte stessa della sua natura e del suo stesso essere. Approfondisce ogni singolo e minuzioso passaggio delle esperienze in vigna, senza smettere comunque di girare e guardare il mondo attraverso i suoi filari, e lo fa grazie alle vendemmie in Jura presso Julien Labet, in Piemonte da Giuseppe Rinaldi, in Alto Adige da Alois Lageder e a La Palma da Victoria Torres Pecis.
Ma probabilmente la necessità di realizzare qualcosa da sé e per sè è insita in ogni essere umano, e questo ci riporta finalmente alla nostra “X” della mappa del tesoro, dove mai gioco di parole pare ora più calzante. Già perché, se ad oggi esiste l’Azienda Agricola Philine Isabelle è perché “galeotto fu il corsaro”, anzi i Vini Corsari, la storica kermesse organizzata da Marta Rinaldi, dedicata al vino artigianale, che ogni anno ospita trenta giovani vignaioli europei indipendenti nel Castello di Barolo. Con Marta, figlia d’arte del citrico Beppe Rinaldi, nel 2019 prende forma il progetto dell’Azienda Agricola Philine Isabelle. Un progetto ambizioso, ma che pare già avere il profumo dell’importanza. Filosofie non interventiste che potrebbero essere riassunte, a voler evitare tecnicismi, in un dogma che accompagna da sempre Philine: preservare la vigna per preservare la vita.
Ed è infatti così nel suo Dolcetto d’Alba 2019, prima annata in commercio, le cui uve, acquistate da Massimo & Luigi Veglio, sono devote al biologico, finanche al biodinamico e vinificate solo in inox con una macerazione di c.a. 12 giorni. Sobrio. Questo è l’aggettivo primario che pare calzante per questo Dolcetto. Dove sobrio, ben inteso, non è sinonimo di comune. Sobrio è quanto esiste di intrinsecamente raffinato. È chi non urla, ma le cui parole rimbombano nella stanza. Chi cammina con passo felpato ma il cui profumo pare imprimersi fino nelle mura di quella stanza. Un profumo che è una linea pulita di ribes e amarene che si uniscono all’unisono con terziari che sanno di pellame e poi di note erbacee. Tutto è così in equilibrio nello spettro olfattivo da sembrare un unico odore, come se l’insieme generasse un unicum. Ecco, così si presenta il Dolcetto d’Alba di Philine. Sobrio. Non si dimentica quel sorso, neppure se la descrizione (questa) arriva dopo più di un mese dalla sua degustazione. Ossimoro di eleganza e ruvidità è il suo tannino, spontaneo quanto raffinato. Sorso contemperato, nonostante ci sia una vera e propria esplosione di frutto all’ingresso. Ed è già intriso di quell’equilibrio che non c’è assolutamente la necessità di dover parlare del suo potenziale. Questo Dolcetto è attualmente buono. E questo segna già la bravura della sua produttrice.
Prima annata anche per la Barbera D’Alba 2019 le cui uve, coltivate a Monforte da Roberto Forno, vengono vinificate per metà in acciaio e per altra metà in botte con una macerazione di circa 12 giorni.
Come per il Dolcetto, anche in questa Barbera, Philine è stata in grado di far nascere un vino, che definirei “certo”. Certo sia nella sua essenza che nei suoi tratti somatici: privo di vistosità e di ostentazione, ma portatore sano delle caratteristiche intrinseche ed estrinseche di questo vitigno e della terra di Monforte. Acidità e frutta i componenti primari al palato, tenuti a freno da un tannino gentile Naso energico che vira verso note mentolate, poi di ciliegia e viola. E’ fine, ma qualche evoluzione in bottiglia varrà a regalargli ancor più equilibrio e così anche questa bottiglia segna il presagio della grandezza che sarà a divenire con una beva instancabile e appagante.
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Ad oggi dobbiamo accontentarci di bere solo queste due referenze, anche se a breve sarà in commercio il suo Langhe Nebbiolo e soprattutto, tra qualche anno, con il suo Barolo Philine ritornerà a far parlare di lei. Nello storico Cru di Preda, a Barolo, ha, infatti, affittato un terreno di circa un ettaro impiantato prevalentemente a Nebbiolo dove l’intrinseca potenzialità di questo vitigno abbinato alla forte vocazione di quel terreno, incastonato tra i cru di Cannubi e Vignane, pare essere l’ulteriore arma del successo
Che sarà il suo Barolo? In natura non esiste una previsione. Di certo sarà esattamente ciò che dovrà essere, e non elaborato per ciò che vorrà essere. Ma visti i risultati avuti con il Dolcetto e la Barbera, io comunque attendo il Barolo come una dichiarazione di intenti.
Stay tuned allora!
(Assunta Casiello)