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Intervista a Luigi Moio

(foto di Anna Ciotola)

A tu per tu con i produttori.

5 domande a Luigi Moio.

Viticoltore in Irpinia con la sua azienda Quintodecimo e ordinario di Enologia all’Università degli Studi di Napoli Federico II, Luigi Moio da più di vent’anni si occupa degli aspetti sensoriali, biochimici e tecnologici dell’aroma del vino. È autore di oltre 200 pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali. Esperto scientifico per il ministero delle Politiche agricole, è vice presidente della commissione di enologia dell’Organizzazione internazionale della vigna e del vino (OIV) con sede a Parigi.

Il tuo vino del cuore, tra quelli prodotti e perché?
Sono, ovviamente, legato a tutti i vini prodotti a Quintodecimo, tuttavia se proprio devo esprime una preferenza non posso non dire che il legame più forte c’è con il Vigna Quintodecimo.  Il nostro crudi Taurasi prodotto dalla prima vigna piantata nel 2001 proprio davanti casa, sul versante nord-ovest della tenuta su un suolo interamente costituito da rocce argillose.   È stato prodotto per la prima volta nel 2004 ed è un sottilissimo equilibrio di piccoli frutti, spezie e note floreali. È un vino di straordinaria ricchezza ed eleganza che immancabilmente mi emoziona ogni volta che lo degusto. È il nostro vino simbolo, infatti prende il nome dell’azienda, in cui tutti i nostri sforzi sono spinti al massimo affinché sia una fedele “restituzione del territorio”, ovvero una reale espressione della vigna, del suolo e dell’ambiente in cui viene prodotto. Per fare ciò la partita si gioca per lo più in vigna, ecco perché ho voluto questa vigna a dieci metri dalla mia camera da letto!

Il vino che vorresti produrre?
Il vino della prossima annata, molto più buono di tutti quelli prodotti nelle annate precedenti.

Un aneddoto della tua vita in azienda che ti ha segnato in modo particolare?
Quintodecimo è nata nel 2001 ed una spinta fondamentale nella realizzazione di questo sogno mi fu data dal grande Luigi Veronelli. Da quando ritornai dalla Francia, nell’oramai lontano 1994, i miei incontri con lui furono molto frequenti. Ci vedevamo soprattutto in occasioni di convegni e manifestazioni sul vino. Lui conosceva bene mio padre, ne era molto amico, ed era sempre molto affettuoso con me e godevo della sua stima fino a dirmi un giorno in modo deciso: «Luigi devi fare una tua azienda! Devi assolutamente farla per essere libero di applicare le tue conoscenze e produrre grandi vini». Lusingato e con un po’ di timore gli risposi: «Caro Gino, se questa azienda un giorno dovesse nascere si chiamerà “Canto della Terra”». Lui mi guardò e mi abbracciò. Per Veronelli “il Canto della Terra” rappresentava il vino, come ebbe a scrivere in una sua bellissima frase: “Il Vino è il Canto della Terra verso il Cielo”. Registrai il nome e realizzai le bozze per la futura etichetta. L’affetto tra di noi era davvero profondo. Veronelli è stato anche il primo giornalista che venne a trovarmi a Quintodecimo. Un pomeriggio degli inizi di novembre del 2002, di ritorno dalla Lucania, si fermò a Mirabella. Voleva incontrare me e Laura. Un’emozione incredibile. L’accompagnammo nella piccola cantina rudimentale che realizzammo nel vecchio casolare prima di iniziare i lavori di costruzione della casa-azienda e gli feci assaggiare l’aglianico del 2001 da una barrique, il primo vino fatto a Quintodecimo dalla vecchia vigna prima dell’impianto dei nuovi vigneti.  Un vino che non è stato mai commercializzato e che custodiamo gelosamente nel nostro caveauprivato come testimonianza dell’anno di nascita dell’azienda. Lui si commosse e mi abbracciò stringendomi fortissimo.

Nell’autunno del 2003 ricevetti una telefonata da un mio caro amico che sapeva tutto sul progetto che avevo in mente: «Ciao Luigi, io sono a Torino, al Lingotto, per la presentazione della guida Veronelli, ti ho chiamato perché hanno appena premiato un vino con il massimo riconoscimento, si chiama “Canto della Terra”. Come farai adesso?» Chiamai Luigi Veronelli chiedendo qualche informazione. Mi disse che i suoi collaboratori non erano a conoscenza del nome che avevo registrato per la mia azienda e che era il vino di un piccolo produttore svizzero, il quale aveva prodotto in suo onore un migliaio di magnum di Merlot col nome “Canto della Terra”. Aggiunse anche: «Luigi non preoccuparti, rimedierò chiedendo al mio amico svizzero di eliminare dall’etichetta il nome “Canto della Terra” e così fece! Avvisò il produttore svizzero e scrisse un bellissimo articolo sulla rubrica che teneva sul Corriere della Sera per riaffermare che quel nome era di Luigi Moio e solo lui poteva utilizzarlo, chiedendo pubblicamente al produttore svizzero di desistere e lasciarci liberi di usare il nome “Canto della Terra” per la nostra azienda. Quel vino del Canton Ticino però era ormai in commercio ed io e Laura, per quanto avessimo registrato il marchio, decidemmo senza alcuna esitazione, che l’azienda si sarebbe chiamata Quintodecimo.

Col senno di poi, siamo stati molto felici di come sono andate le cose. Il nome Quintodecimo è molto più incisivo e preciso anche perché è fortemente legato al territorio. È un omaggio alla storia antichissima di Mirabella Eclano. Aeclanumera un primitivo insediamento sulla via Appia, risalente al periodo neolitico, che dal 633, per circa cinque secoli, venne chiamato Quintum decimum, perché distante esattamente 15 miglia dall’antica città di Benevento.

Tuttavia, nonostante il lieto fine di questa piccola storiella, non volevo assolutamente rinunciare al legame con il grande Maestro. Decisi che nell’etichetta di Quintodecimo bisognava trovare un posticino per la sua mitica frase. Così è stato. Al di sotto del logo di Quintodecimo, ispirato al sistema solare con cinque lune che orbitano lungo un’ellisse intorno alla scritta Quintodecimo, in armonia con un cerchio e un quadrato costruiti sulla lettera Q, è riportato il motto “merum carmen telluris elatum”. È la traduzione in latino della frase “il Vino è il Canto della Terra verso il Cielo”, opera del latinista Augusto Genzale, amico fraterno, al quale chiesi la cortesia di rendere in latino il pensiero dell’amatissimo Luigi Veronelli.

con Luigi Veronelli

Il momento del tuo lavoro che ami di più e perché?
Questo è un lavoro bellissimo, innanzitutto perché si vive completamente immersi nella natura e poi perché è un lavoro creativo scandito dai ritmi delle stagioni. Le cose da fare durante l’anno, poiché sono dettate dalla natura, sono sempre diverse di giorno in giorno per cui non ci si annoia mai e devo confessare che non c’è un momento più bello di un altro. Ci sono invece due occasioni che emotivamente mi coinvolgono di più: la raccolta dei grappoli d’uva maturi e la degustazione del vino ottenuto al termine della fermentazione alcolica. È il momento della verità e della valutazione di un anno intero di lavoro che crea apprensione ed ansia ma, se tutto è andato bene, anche infinita gioia!

Se non avessi fatto il vignaiolo cosa avresti voluto fare?
Ciò che mi ha sempre attirato sin da bambino, è stata un’irrequieta curiosità nel voler capire come funziona il mondo. Ho sempre letto e studiato con grande avidità e piacere, quasi come fosse un gioco.  Volevo capire perché accadono le cose. Una serie di domande che mi hanno inseguito per tutta la vita.  Con il trascorrere del tempo, ed in particolare durante i primi anni d’università, la mia passione per la ricerca scientifica è cresciuta sempre di più. Non mi sembrava vero di poter fare gli esperimenti per conoscere cose nuove. La scelta di intraprendere gli studi di scienze agrarie è stata molto influenzata da mio padre. Diventato professore universitario di enologia, il desiderio di fare il vignaiolo è affiorato in modo naturale per completare un percorso, mettendo in pratica una solida base teorica accresciuta nel tempo. Se non avessi fatto tutto ciò forse sarei diventato un fisico teorico proprio per andare a fondo della natura delle cose. Sono stato sempre attratto ed affascinato dalla fisica e dall’astronomia. Ho sempre avuto questo desiderio che, purtroppo, ho potuto solo coltivare divorando libri di divulgazione scientifica scritti da fisici ed astrofisici. Non a caso nel mio libro “Il Respiro del Vino” molte metafore sono state attinte dal mondo della fisica e dell’astronomia e per lo stesso motivo, all’inizio dell’introduzione, riporto una frase del grande fisico teorico Richard Feynman, premio Nobel nel 1965, il quale, mettendo insieme concetti di fisica, arriva a concludere che: “l’universo intero è in un bicchiere di vino”!

(redazione)

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